martedì, febbraio 26, 2013

Il peggio deve ancora venire.


Ammetto di essere stato travolto anche io dalla tempesta elettorale. Un voto al di fuori di ogni previsione. A proposito, il Presidente degli Stati Uniti viene decretato vincitore su proiezioni e non dati reali, i sondaggi non si discostano molto dalla realtà e sono utilizzati come uno strumento efficace di campagna elettorale: in Italia nessuno è in grado di fare un sondaggio. Questa è solo una delle tante anomalie di questo sistema.
È difficile fare una analisi in questa situazione, ma in generale:

1. le campagne elettorali vanno giocate sempre, sempre. Non esiste una campagna elettorale dove i giochi sono già chiusi. Ogni partita ha la sua storia. Se la squadra più in forma, più forte tecnicamente, scende in campo pensando di aver già vinto, rischia di perdere. L'avversario, con una classifica meno buona, uno scarto da recuperare, in difficoltà tecnica, entrerà in campo con la giusta determinazione, proverà a metterla sul piano fisico, usando tutte le armi a disposizione, anche quelle ai limiti del regolamento. Se la squadra più forte non reagisce, non ci mette un po' di cattiveria e la giusta mentalità. Torna a casa con lo 0 a 0. 

2. le campagna elettorali si giocano, gran parte, sul piano emotivo e sui "frame" che si riescono ad imporre. Da un lato c'erano due leader che ci mettevano voglia, passione, motivazione, ci provavano (in tutti i modi), hanno rischiato. Da un punto di vista plastico, Berlusconi e Grillo, avevano la faccia di quelli che volevano, per restare in una metafora calcistica, mangiarsi l'erba; Bersani si è mostrato debole, senza passione, senza emozioni, come ci siamo già detti, ha lasciato che passasse il messaggio "stavolta tocca a noi". L'idea che noi, eravamo il "giusto", i migliori, i più onesti, i più rinnovati, magari non i più belli ma quelli più presentabili, fa parte della reiterata idea di superiorità "morale" che la sinistra si porta addosso da anni e che, sinceramente, scriverne è diventato obsoleto tanto quanto perseguire con gli stessi errori del passato. 

3. le primarie sono state un gran problema per il PD. Spesso le primarie ti danno il picco dell'attenzione troppo presto rispetto alla data del voto vero e proprio. Nel 2007 successe a Segolene Royal in Francia. Tutti la davano per vincente, con scarti ben consistenti, subito dopo le primarie. Sapete tutti come è andata a finire. La capacità delle primarie di imporre l'agenda è un'arma a doppio taglio, se non sei in grado di continuare a tenere l'attenzione a un livello molto alto durante tutta la campagna, le primarie si rilevano controproducenti. 

4. Il provincialismo del nostro sistema politico e mediatico, in queste ore, si produce nella reiterazione dello stesso concetto "se avesse vinto Renzi…". La questione è mal posta. Non c'entra Renzi, seppure l'avessi sostenuto, ma la possibilità di cambiare completamente il modo della sinistra di relazionarsi alla politica. Cambiare schemi interpretativi, visioni e prospettive. Non è la presenza o meno di una personalità, ma lo stravolgimento delle categorie attraverso le quali si è interpretata la realtà, fino ad oggi da parte di un ampia area politica che prende il nome di Partito Democratico.

5. Le elezioni confermano la scomparsa del partito solido, strutturato, territoriale. L'idea del partito novecentesco, tanto cara alla dirigenza e la base del PD, esce sconfitto, di nuovo, da questa tornata elettorale. Il consenso si costruisce nella relazione empatica, diretta, fiduciaria con la figura del leader ancora di più con questo sistema elettorale. Continuare a pensare che la personalizzazione della politica sia il "male" e che prima del leader ci sia il partito, è retorico, anacronistico e sbagliato. Lo dimostra il risultato delle elezioni. La leadership non è solo carismatica e/o demagogica, può essere emotiva, partecipativa, democratica, direttiva. Il leaderismo non è il male, ma una possibile soluzione.


Il peggio deve ancora venire. Un leader illuminato, carismatico, responsabile, ispirato ci mette la faccia. Prova ad imporre una lettura della situazione, non si rifugia in un tweet scritto, dove continua a non dire niente come in tutta la campagna elettorale. Il peggio è, ancora una volta, stigmatizzare il paese e l'elettorato. Il peggio è, ancora una volta, cercare le colpe appena fuori dall'uscio di casa. Il peggio è aver contribuito a far perdere credibilità alla politica. Il peggio è averci portato ad essere "incazzati" l'uno con l'altro, aver spaccato un paese, polarizzando le opinioni e le tendenze. La colpa è tutta nostra, perché dovevamo vincerla noi. Non c'è alibi che tenga.  

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